E'li, ce l'ho seduto davanti, quando improvvisamente realizzo:
come no, mi dico, co-me non averci pensato prima! Arrabal, con
la sua barbetta curata e gli occhiali rotandi di metallo, e soprattutto
gli occhi decisamente, an-zi, volutamente spiritati fra terra
dello sdegno e villaggio del compiacimento, davvero somiglia
alía civetta-dottore incisa sul frontespizio del Mutus
Líber, un volume d'altri tempi, d'altre ere, un tomo
dove si spiegava per filo e per segno come trasmutare il metallo
vile in oro, roba d'alchimisti, da illusi felici, cose che, nel
nostro secolo, forse soltanto i surrealisti non hanno smesso
d'amare.
Ma si, oro o stagno, poco, m'importa, per-ché io, adesso,
sia pure in ritardo, raggiungo il mio sogno: conoscere Arrabal.
Erano anni ed anni che desideravo incontrarlo, perché
lui, questo scrittore (ma anche drammaturgo, regista, esperto
di scacchi, e altro ancora) di origine spagnola (é nato
nel 1932 a Melilla, nel Marocco spagnolo) ma che dal 1955 vive
a Parigi, ebbene, questo Arrabal per molti ra-gazzi, un tempo
adolescenti ribelli in bilico
fra tentazione surrealista e anarchismo, é sta-to davvero
una grande passione, a partire dal suo film memorabile, Viva
la muerte, dove con linguaggio visionario, sempre lui, Fernan-do
Arrabal, raccontava la propria intanzia e soprattutto la storia
di suo padre: un giovane ufficiale dell'esercito spagnolo ucciso
dagli insorti franchisti il giorno prima dell'alzamien-to.
E anche dei suoi film successivi, Andró co-me un
cavallo pazzo e L 'albero di Guernica noi, gli anatroccoli
ribelli di vent'anni e più fa, non volemmo perdere neppure
un fotogram-ma. E vero, sono trascorse piú vite dalIa
sta-gione di quella piccola passione collettiva, ma io sono certo
che quelli di allora, i suoi af-fezionati sopravvissuti, correranno
a leggere anche Uno schiavo chiamato Cervantes, il suo
ultimo romanzo appena pubblicato da Spira-Ii.
No, lui non ci crede, perché, nel frattempo, s'é
rotto l'incanto, mi dice, infatti, Arrabal, che l'Italia, meglio,
gli intellettuali di matrice
marxista hanno smesso di amarlo da quando, nel 1 987 ha «denunciato
l'orrore del regime cubano", proprio lui, lui che in passato
si era distinto per la sua durissima lettera-atto d'ac-cusa a
Francisco Franco. "A partire da quel momento sono stato
ritenuto un uomo insop-portabile, io, il solo spagnolo che abbia
mai scritto una lettera a Franco". Racconta che mentre la
scriveva, quella lettera, pensava a suo padre, quando, a Melilla
il 17 luglio del '36, fallita la resistenza delle forze fedeli
alía repubblica, la legione síraniera arrestò
un giovane tenente ((che é di sinistra, é per la
Iibertà, allora questo giovane tenente, quando legge l'atto
d'accusa che lo condanna a mor-te, dice ai suoi carcerieri: no
voglio che fac-ciate qualcosa di eccezionale per me, riattatemi
come tutti gli altri, sappiate che sono con-tra il colpo di Siato,
sono per la repubblica, Ora, quest'atto di mio padre io l'ho
ripetuto sempre, ho sempre ripetuto questo suicidio, mi sono
suicidato scrivendo la Lettera a Franco", nel '69, e lo
stesso molti anni dopo quando, conoscendo ciò che chiamo
il gulag cubano, mi sano detto: che avrebbe fatto mio padre?
E allora ho scritto la Lettera a Castro, sapendo che si
tratta di un nuovo suicidio. Chi ti ha pagato, la Cia? Come é
possibile che tu, tu che hai scritto la lettera a Franco adesso
faccia una cosa simile?'. Eppure, giura Ar-rabal, e non c'é
ragione di non credergli, <an-che i miei testi di oggi, penso
a Cervantes, co-me quelli di ieri sono sempre quelli di uno che
lotta per la libertà, per la rivoluzione, per i poveri".
Inutile, non ce la faccio a convincer-lo che, forse, se cancellazione
c'é stata riguar-da, semmai, il filone culturale surrealista
cui la sua opera viene assimilata. Ma, quanto al resto, nonostante
l'euforia recente di molti per Castro a Roma, nonostante Bertinotti,
beato, sul lungomare de L'Avana, anche qui esiste ancora un nucleo
di resistenza certo che i Iuoghi interiorí di Arrabal
rappresentino sempre un segmento di memoria poetica, di sentimento
libertario incancellablili. Cosi gli ho detto, chissà
però se l'ho convinto.
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